2019.09.27 Edoardo Bruni: fare musica vuol dire vivere

Mi piace iniziare questo rapido ritratto di Edoardo Bruni con un pensiero di Bruno Maderna: “Fare musica vuol dire vivere. Vivere da uomini, non da vegetali. […] Molti compositori che godono oggi di ampia fama, sono disgraziatamente già morti senza rendersene conto. […] Altri ancora che parevano morti, improvvisamente si ridestano e producono opere vive […]”. Chi voglia leggere per intero il testo da cui sono tratte queste poche righe, lo trova in Edoardo Bruni (a cura di), Bruno Maderna, “Composizione in tre tempi” 1954, Edizioni Suvini Zerboni, Milano, 2008, p. VI. Ho scelto questa citazione perché sono convinta che queste poche parole di Maderna, scritte nel programma di sala del concerto dell’8.XII.1954 quando Composizione in tre tempi venne eseguita, possano dare in sintesi l’immagine del curatore dell’opera in edizione critica: per Edoardo Bruni, infatti, “Fare musica vuol dire vivere”.

Ha cominciato a studiare musica attraverso la tastiera del pianoforte e ha percorso tutte le tappe di una preparazione accurata e oculata; ha cominciato presto a comporre, già durante gli studi di composizione, anche questi compiuti con la guida di un ampio ventaglio di docenti attivi in scuole prestigiose di tutta Europa; contemporaneamente ha studiato la storia e la filosofia della musica e della società in cui essa vive, coniugandola nelle lingue dei paesi in cui ha compiuto la sua preparazione; e molto presto ha cominciato ad insegnare a vari livelli i diversi aspetti della musica e delle sue teorie.

Si può dire che Edoardo Bruni ha fatto tutti i “mestieri” della musica, perfino il filologo, che solitamente è un mestiere abbastanza esclusivo. L’ho conosciuto come studente di Dottorato in co-tutela fra le Università di Trento e di Paris IV e ho apprezzato la sua serietà e tenacia nella ricerca, la sua capacità di andare a fondo ai problemi senza accontentarsi dei primi risultati. Ma mentre seguivo questo suo percorso teorico, mi accorgevo che per lui non era l’unico obiettivo e che contemporaneamente continuava a vivere nella musica anche attraverso l’elemento sonoro: le esibizioni concertistiche, la composizione.

Concluso brillantemente il Dottorato italo-francese le nostre strade hanno preso una diversa direzione: mentre lui continuava a vivere nella musica a 360 gradi, io mi sono concentrata nella ricerca e mi sono accontentata di seguirlo nella musica come spettatrice, come polo ricevente di qualche sua manifestazione. Devo subito dire che non è affatto facile seguire un personaggio che vive tanto profondamente nella musica e specialmente nella “sua” musica, anche perché – secondo la sua stessa ricostruzione dei fatti – il suo “Modo” di intendere la musica si è andato via via affinando attraverso quattro fasi.

Nel 1992 Bruni comincia a comporre utilizzando il linguaggio e le tecniche dei grandi compositori su cui si era formato, non certo coll’intento di comporre “esercizi di stile” ma perché non considerava esaurite le potenzialità espressive di quegli strumenti linguistici.

Pochi anni dopo Bruni sente il bisogno di prendere le distanze dall’area romantica e comincia a cercare la sua strada attraverso opposizioni concettuali che continuano ancor oggi a determinare le sue scelte, in direzioni solo apparentemente diverse. Sintetizzando il rapporto cognitivo fra la musica e il mondo nei “Modi” opposti di “irrazionale – inconscio – soggettivo vs. razionale – conscio – oggettivo” lo vediamo approssimarsi ad una musica caratterizzata da relazioni più sfumate con il mondo esterno espresse in brani con sonorità espressionistiche, a volte anche non-tonali.

Nella prima decade del secondo millennio Bruni indirizza il suo cammino estetico-compositivo scegliendo la propria via alle biforcazioni che la contemporaneità andava proponendogli: la musica stava andando verso una ritrovata ingenuità o verso l’espressione del malessere dell’esistenza stessa? Scartate entrambe le opzioni, Bruni affina i suoi “Modi” linguistici esasperando il cromatismo, ma nello stesso tempo alleggerendone l’impatto all’ascolto con l’inserzione di elementi scalari di tipo modale.

Si arriva così al presente, al secondo decennio del XXI secolo, che vede il precisarsi di una scrittura personalissima, caratterizzata dall’uso di un linguaggio pan-modale, che sta alla base di un progetto più vasto non solo di tecnica compositiva, ma di visione del mondo: il progetto ARS MODI – L’ARTE DEL MODO sintetizza da un lato, tramite il manifesto della musica catartica, una precisa concezione estetico-filosofica, dall’altro, attraverso la tecnica della pan-modalità, il personale approccio scientifico al linguaggio musicale.

Spero che l’ascoltatore attento ritrovi nel Bruni di oggi gli echi di un percorso ricco e differenziato.

Rossana Dalmonte